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SUCCESSIONE E DINTORNI

SUCCESSIONE E DINTORNI

La successione è un argomento che in molti preferiscono rimandare, invece è bene pensarci per tempo perché sono previsti diritti ma anche obblighi sia che si lasci l’eredità sia che la si riceva, dunque, nostro malgrado dobbiamo pensare alla successione. Perché, sia nel caso in cui si voglia lasciare i beni in eredità dopo la morte, sia che li si riceva per la dipartita di una persona cara, dobbiamo compiere determinati passi, con tempistiche precise.

 

Cosa è la successione

La successione è quella procedura giuridica che prevede il trasferimento del patrimonio ereditario dalla persona defunta agli eredi. Per patrimonio ereditario, la giurisprudenza, intende l’insieme dei rapporti patrimoniali attivi ma anche passivi trasmissibili al momento della morte. Quindi, in parole più semplici, l’eredità comprende non solo i beni e i crediti ma anche i debiti della persona defunta.

Esistono due tipi di successione:

  • testamentaria, quando è regolata da un testamento;
  • legittima, quando, in mancanza di un testamento, è disciplinata esclusivamente dalla legge che prevede la destinazione dell’eredità a seconda del grado di parentela.

Da qui si deduce che se si vuole lasciare alcuni beni a determinate persone è bene pensarci con anticipo e redigere un testamento. In ogni caso, l’ordinamento italiano stabilisce che una quota di eredità, la legittima, spetta di diritto ai parenti più stretti, come il coniuge e i figli. Questo aspetto rappresenta quindi un limite alla cosiddetta autonomia testamentaria.

Accettare l’eredità

Visto che l’eredità comprende sia i beni e i crediti che i debiti del defunto, primo passo da compiere per riceverla e diventare eredi è accettarla. L’accettazione, che non può riguardare solo una parte dell’eredità, può essere espressa sostanzialmente in due modi:

  • formale, con un ricevuto dal notaio o dal cancelliere del tribunale del comune dove il defunto aveva l’ultimo domicilio;
  • tacito, cioè desumibile da un comportamento specifico che manifesti la volontà di accettare l’eredità.

Se l’erede accetta, diventa proprietario dei beni, come ad esempio una casa, ma subentra al defunto anche nei debiti (se ci fossero).

La dichiarazione di successione

Una volta accettata l’eredità, si dovrà aprire una successione, ossia presentare la dichiarazione di successione all’Agenzia delle Entrate per determinare le imposte da pagare sui beni e i crediti ricevuti. Si tratta di un passo di fondamentale importanza, in quanto costituisce condizione imprescindibile per poter disporre dell’eredità.

Anche qui ci sono modalità e tempistiche precise. Innanzitutto, la dichiarazione di successione deve essere presentata dagli eredi entro 12 mesi dal decesso. Come? Ci sono diverse possibilità:

  • tramite un intermediario abilitato, come le banche;
  • presso l’ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate online.

Se il defunto non possedeva case, aveva un patrimonio sotto i 100mila euro, e, ad ereditare sono solo coniuge e figli, non occorre presentare la dichiarazione di successione. Al di là di questi casi, invece, la dichiarazione è sempre obbligatoria, e quando ci sono immobili, insieme alla dichiarazione di successione è necessario presentare anche le volture catastali.

L’accettazione dell’eredità non richiede necessariamente una dichiarazione espressa e formale, ma può essere implicita in un comportamento diretto a gestire il patrimonio del parente defunto, comportamento quindi incompatibile con la volontà di rinunciare all’eredità. È questo il caso dell’accettazione tacita dell’eredità, accettazione che, evidentemente, ha le medesime conseguenze di un’accettazione espressa: ossia il diritto dell’erede di succedere nel patrimonio del de cuius (il familiare deceduto) secondo la propria quota e di rispondere anche (nella medesima percentuale) dei relativi debiti. Ma procediamo con ordine.

Cos’è l’accettazione tacita dell’eredità?

L’accettazione tacita si verifica quando il chiamato all’eredità compie un atto (comportamento concludente) che presuppone la sua volontà di accettare, e che non avrebbe diritto a fare se non nella qualità di erede. Chiaramente, l’atto che implica l’accettazione tacita dell’eredità deve essere compiuto dall’erede e non da terzi soggetti, dai quali il primo ovviamente non risponde.

Ad integrare l’accettazione tacita dell’eredità da parte del chiamato sono pertanto rilevanti gli atti che per la loro natura e finalità siano incompatibili con la volontà di rinunciare e non siano altrimenti giustificabili. Ad esempio, per come meglio si vedrà a breve, fare ricorso contro un avviso di accertamento indirizzato al defunto è considerato «accettazione tacita dell’eredità»; continuare a vivere nell’immobile del defunto o utilizzare la sua auto, senza aver fatto un inventario dei beni dell’eredità è considerato «accettazione tacita», e così via.

La differenza tra accettazione espressa ed accettazione tacita dell’eredità

Per esplicita disposizione del codice civile, l’accettazione pura e semplice può essere espressa o tacita, che comprende il caso in cui il possesso dei beni ereditari si protrae per oltre tre mesi.

L’accettazione è espressa quando la volontà di accettare l’eredità da parte del “chiamato” risulta palese e inequivoca. Ad esempio, il “chiamato” assume la qualità di erede in un atto pubblico o in una scrittura privata autenticata.

L’accettazione è invece tacita quando il “chiamato” all’eredità pone in essere un atto che ha il diritto di compiere in qualità di erede. Ad esempio, il “chiamato” vende o dona un bene immobile facente parte dell’asse ereditario. Secondo l’insegnamento della Cassazione, l’accettazione tacita può essere desunta dal comportamento complessivo che realizza non solo atti di natura fiscale, come la dichiarazione di successione, ma anche atti che siano nel contempo fiscali e civilistici, come la voltura catastale che rileva anche ai fini dell’accertamento della proprietà immobiliare.

 RINUNCIA ALL’EREDITA’

Al momento dell’apertura di una successione, tutti coloro che, per legge o per testamento, sono “chiamati” all’eredità, hanno la possibilità di accettare o rinunciare. Solo in seguito all’accettazione si acquisisce la qualifica di erede. Mentre l’accettazione può essere sia espressa che tacita, la rinuncia è sempre un atto formale espresso, ricevuto da Notaio o dal Cancelliere del Tribunale.

Va tenuto conto che tra i vari soggetti che possono essere chiamati all’eredità come eredi, ve ne sono una speciale “categoria”, i cosiddetti “legittimari”, ai quali, per legge, spetta una quota minima del patrimonio ereditario. Sono legittimari, rispetto al de cuius, il coniuge o la persona a lui unita civilmente, i figli e, in mancanza di questi ultimi, i genitori. Qualora all’apertura della successione i legittimari non abbiano ricevuto quanto gli viene riconosciuto per legge, hanno a disposizione una specifica azione (azione di riduzione), che consente loro di integrare la loro quota di “legittima”.

L’ACQUIESCENZA

Al momento dell’apertura della successione, i legittimari chiamati all’eredità, hanno la possibilità, con apposita dichiarazione rilasciata avanti al notaio, di “rinunciare” a qualsiasi azione e pretesa verso coeredi o terzi, in relazione ad eventuali lesioni della loro quota di legittima intervenute con l’atto testamentario o con donazioni fatte in vita dal de cuius. Si tratta, appunto, di un atto di “acquiescenza alla successione”.

In tal caso, quindi, con atto di acquiescenza, l’erede legittimario, eventualmente leso nei propri diritti intangibili, rinuncia all’esercizio di qualsiasi azione.

La differenza tra rinuncia all’eredità ed acquiescenza, quindi, appare di tutta evidenza.

Con la rinuncia all’eredità un soggetto esprime la volontà di non voler acquisire la qualifica di erede, mentre con l’atto di acquiescenza un soggetto decide di rinunciare, pur nella sua qualità di erede legittimario, all’esercizio delle specifiche azioni che la legge gli riconosce a tutela dei sui diritti ereditari.

CONCLUSIONI E CONSIDERAZIONI:

Articolo a mio avviso utile ed importante perché nell’ambito immobiliare, spesso, capita di dover mediare l’alienazione di un bene pervenuto ai nuovi proprietari in successione. Oltre a conoscere le parti note ai più, pochi, pochissimi sanno che al momento di una vendita in sede d’atto bisognerà pagare la “Tacita”. Molti mi chiedono, cos’è? Io ho già fatto la successione e pagato le tasse, a cosa serve? E’ un “pizzo” obbligato e legale. E via via…. (insulti che risparmio).

Perché?

Perché non si conoscono le cose e le loro procedure, c’è scarsa informazione su ciò che conta. Al momento del rogito la proprietà dovrà versare, tramite il Notaio rogante, tra i 500 ed 600 euro per questa “Tacita” e, probabilmente, è bene farlo sapere prima. Spiegare le cose è essenziale, mi rivolgo a colleghi e professionisti trasversali, perché sia che mi faccia supportare da un Caf che da un Notaio per la dichiarazione di successione poco importa, queste figure hanno, a mio avviso, l’obbligo di rendere completa l’informazione spiegando eventuali effetti su azioni futuribili, così come la mia categoria deve fare in fase di acquisizione del bene, non appena viene a conoscenza del titolo che ha portato alla proprietà.

Per un erede è già stata una tempesta essere tale, noi professionisti dobbiamo gestire le susseguenti vicende burocratiche con la diligenza del buon padre di famiglia, altrimenti perché definirsi professionisti?

DAVIDE BOSISIO

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