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QUANDO UNA PERSONA MENTE? I SEGRETI DI UN AGENTE FBI

QUANDO UNA PERSONA MENTE? I SEGRETI DI UN AGENTE FBI

Come capire se una persona mente? Questa è una domanda che tutti noi, almeno una volta, ci siamo posti mentre avevamo il dubbio che, parlando con qualcuno, questo ci stesse in qualche modo nascondendo qualcosa. I segni che qualcuno sta mentendo non sono sempre facili da decifrare. A ciò dobbiamo aggiungere che, sfortunatamente, non c’è modo di determinare se qualcuno è onesto con una certezza del 100%.Tuttavia, ci sono alcuni segni a cui puoi prestare attenzione per cercare di capire se il tuo interlocutore ti sta mentendo. In questa blog analizzeremo proprio questi segnali, dal linguaggio del corpo ai movimenti oculari. Se siete pronti, iniziamo subito.

Dallo sguardo e dal movimento degli occhi di una persona si può capire a cosa sta pensando.

Esiste una connessione neurologica tra il cervello ed il movimento degli occhi, come analizzato anche dalla PNL. Per i destrorsi, l’emisfero destro del cervello è quello non dominante che permette l’elaborazione della fantasia, della creatività e dell’intuizione. L’emisfero sinistro è quello dominante, dedicato all’elaborazione, alla logica ed alla razionalità.

Per i mancini le funzioni sono invertite.

Osservando i movimenti degli occhi del nostro interlocutore siamo in grado di capire cosa sta pensando. La sequenza con cui si muovono gli occhi permette di dedurre la sua strategia.

Lo schema sotto riassume le sei posizioni dell’occhio ed il pensiero correlato, per i destrosi. Discorso invertito per i mancini.

 

VISIVO COSTRUITO ( alto Dx ) Se gli occhi vengono rivolti in alto verso destra significa che la persona sta inventando una nuova immagine. Si tratta di qualcosa di inventato e non di ricordato. Se chiedete a qualcuno di immaginare un cielo verde con nuvole rosse dovrebbe guardare in alto a destra.

VISIVO RICORDATO ( alto Sx ) Se gli occhi vengono rivolti verso l’alto a sinistra significa che la persona sta ricordando un’immagine. Il cervello di questa persona sta visualizzando oggetti, colori, movimenti ed altre informazioni visuali che riguardano la conversazione. Se volete vedere qualcuno fare questo una buona domanda da fare è, “di colore è la tua auto?”.

AUDITIVO COSTRUITO ( centro Dx ) Se gli occhi vengono rivolti al centro a destra significa che la persona sta cercando un nuovo suono come potrebbe essere il tono della voce da utilizzare per dire una certa cosa. Chiedete a qualcuno di immaginare il suono del clacson di una macchina sott’acqua e questo guarderà a destra.

AUDITIVO RICORDATO ( centro Sx ) Se gli occhi vengono rivolti al centro a sinistra significa che la persona sta ricordando un suono. La persona potrebbe ricordare una canzone, il suono di una voce o un particolare rumore. Se chiedete a qualcuno di pensare al suono della sua sveglia, questi dovrebbe guardare a sinistra.

CINESTESICO ( basso Dx ) Se gli occhi vengono rivolti verso il basso a destra significa che la persona sta provando una sensazione. Spesso, quando le persone dicono “mi sento…” guadano in basso a destra e, da questo, possiamo capire se stanno realmente provando un sentimento.

DIALOGO INTERNO ( basso Sx ) Se gli occhi vengono rivolti verso il basso a sinistra significa che la persona sta dialogando con se stessa come quando ci si dice qualcosa fra se e se.

Significa che la persona sta riflettendo, si sta ponendo delle domande, sta progettando qualcosa.

Un eccessivo dialogo interno significa che la persona non sta seguendo il dialogo ma è sopra pensiero, troppo intenta a se stessa sia in senso positivo (la persona pensa che è stata brava a fare una certa cosa) che in senso negativo (la persona pensa che non ce la farà).

Per uscire dallo stato di dialogo interno è sufficiente alzare gli occhi e porre attenzione a qualcos’altro.

 

Dunque per semplificare:

per capire se una persona ti sta raccontando qualcosa che è realmente accaduto, che ha realmente visto o sentito o se invece sta inventando tutto, è sufficiente che osservi la posizione dei suoi occhi. Infatti, se una persona (destrorsa) ti sta dicendo che ha visto un certo evento e sta posizionando gli occhi in alto alla sua destra, allora sta visualizzando un evento che non è ancora accaduto, lo sta costruendo, lo sta immaginando. Quindi non si tratta di una cosa ricordata ma di una cosa inventata, perciò quella persona sta mentendo.

Altri segnali oltre agli occhi?

Bisogna fare attenzione a chi si tocca troppo spesso la faccia: potrebbe farlo per alleviare il prurito che deriva da una reazione chimica tipica sul volto di chi mente. Grattarsi il naso è lo stereotipo.

Altro macro segnale, più semplice da individuare è la postura del corpo. Se una persona mente abbandona la fluidità e armoniosità dei movimenti incontrollati del corpo a vantaggio di un irrigidimento.

Ci sono sicuramente altre sfumature ma non esageriamo, del resto nelle relazioni interpersonali quanti di voi sono parte dell’FBI?

Questo articolo voleva essere intrigante e di studio per dare strumenti che aiutino a rispondere ad uno dei desideri maggiori dell’essere umano, capire il prossimo, entrare nella sua testa.

Se devo essere sincero, sarò una voce fuori dal coro, ma non m’interessa affatto sapere i pensieri altrui, per privacy e perché possiedo già i miei da decifrare, ma quando ci si relaziona nel mondo del lavoro, ad esempio, è utile avere delle armi più che altro per tutelare se stessi e la propria attività.

Noi, agenti immobiliari, ci troviamo giornalmente a gestire relazioni, è il nostro quotidiano e capire grossolanamente se stiamo investendo il nostro tempo o meno diviene fondamentale.

 

Sì, ora magari non precipitatevi a dialogare a casaccio con qualsivoglia persona scrutandole gli occhi, potreste essere mal interpretati….

Davide Bosisio

Resilienza, la moda del momento

In questo nuovo articolo parliamo di resilienza. Prendendo spunto dal titolo, questo termine negli ultimi anni ha preso piede ed è molto utilizzato soprattutto in ambiti di selezione delle risorse. Analizziamolo, capiamolo e cerchiamo di fare delle riflessioni.

In psicologia, la resilienza è un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.

Bellissimo, no? Certamente, ma la vita mi ha insegnato ad andare oltre le apparenze e capire meglio le cose, non per giudicarle o denigrarle, solo per capirle e non essere preso dentro dal flusso della moda. Perché dico questo? Và aggiunta alla definizione una cosa importante, il termine resilienza è stato preso in prestito dall’ingegneria, resiliente è termine associato ad un metallo che resiste agli urti, assorbendoli, senza rompersi.

Il mio approfondimento nasce da qui. Perché associare una qualità di un metallo all’essere umano?

L’epidemia è partita di soppiatto agli inizi del nuovo millennio. Un processo fulmineo, che si snoda attraverso fasi. Uno dei tanti tipi di resistenza che figurano tra le proprietà meccaniche dei materiali. Vecchie reminiscenze delle lezioni di educazione tecnica, diventate poi competenze specifiche di chi ha deciso di specializzarsi nel settore. Poi arriva la prima espansione: la resilienza diventa, più genericamente, la capacità di un sistema di fare fronte ad eventi che ne minacciano l’equilibrio. In psicologica cognitiva designa l’abilità dell’individuo di reagire a situazioni traumatiche senza sviluppare un quadro psicopatologico; in ecologia, quella di un ecosistema di mantenere il proprio funzionamento a fronte di situazioni di stress. Il termine compare in economia, in informatica, nelle scienze sociali. Ma la faccenda è ancora sotto controllo, tutto sommato: la parabola della resilienza, del resto, non si discosta troppo da quella di entropia, equilibrio, shock. Altri termini nati come settoriali e poi diventati gergo comune di molte discipline scientifiche, secondo la logica di estensione metaforica con cui spesso nuovi significati si fanno strada in una lingua. La resilienza è diventata una buzzword: una parola magica, versatile, puramente evocativa il cui impatto comunicativo è in gran parte slegato dal significato letterale. Per il solo fatto di essere proferita, riesce a imprimere al nostro discorso forza e profondità, incarnando le qualità più diverse. E così, la Copenaghen resiliente ce la immaginiamo affascinante, sinuosa, molto ecologica; un rock resiliente è dolce, sofferto, sottilmente innovativo; e un pensionato resiliente è presumibilmente sveglio, vissuto, che attende sornione per poi contrattaccare.

Essere resilienti significa, quindi, aspettare passivamente che le cose spiacevoli passino e che i tempi ridiventino floridi. Rappresenta il desiderio che tutto ritorni com’era nel passato e non offre  azioni da compiere per cambiare le cose nel presente. Nella resilienza non c’è l’idea di agire attivamente per affermare qualcosa in cui si crede, non c’è visione del futuro. Bisogna godersi edonisticamente la vita, subirne gli impatti momentanei e tornare poi identici a prima. Di fronte a un mondo incomprensibile, l’unica cosa fattibile è proteggere se stessi e la propria identità, sforzandosi esclusivamente di ricomporsi dopo l’inevitabile tornado del giorno. La resilienza è la chirurgia plastica dell’IO, è la malattia che si spaccia per cura, è l’inno all’efficienza consumistica, è il ribadire sempre quel che si è senza soffrire integralmente, senza spezzarsi mai. Se proprio vogliamo usare un termine preso in prestito dall’ingegneria, propongo il concetto di resistenza, cioè quella capacità dei corpi di opporsi al passaggio di una corrente. Chi resiste non si limita ad aspettare che la tensione passi, non fa finta che non stia succedendo niente, ma si oppone attivamente. Un corpo resiliente è un corpo passivo, mentre un corpo resistente è un corpo vivo, che subisce ferite e trasformazioni dalla forza ostile e non fa finta che non stia succedendo niente. Prova dolore e fastidio, e ciononostante continua a resistere. Resistere significa fare esperienza, rischiare di farsi male e di sparire pur di opporsi alla distruzione generale. Chi è resiliente può evitare di esporsi, può nascondersi, può non sentirsi responsabile di ciò che gli succede intorno. Chi resiste, invece, si prende in carico ciò che gli accade intorno e, dopo aver resistito, non è più uguale a prima. L’abisso tra resilienza e resistenza è quindi l’esperienza, perché l’autentica esperienza ti trasforma, non ti fa mai tornare uguale a prima.

Ecco. Ho studiato, analizzato, capito il concetto ed espresso il mio. Non che sia da considerarsi verità, è il mio punto di vista che contempla il rispetto per chi non fosse d’accordo.

Vedete, l’essere umano lo vedo come un insieme complesso di molti fattori che non possono essere etichettati e/o circoscritti. L’essere umano vive di relazioni, talvolta capita di sbagliare e colpire il prossimo, altre il contrario. Quindi? Finiscono cosi i rapporti? Nei posti di lavoro quante volte capitano conflitti? Credo sia una delle attività di routine di un manager gestirli. Ma un conflitto decreta la fine di un rapporto di lavoro o magari ne rafforza il futuro? Dipende da come si approccia ma molto più probabilmente a quanto si crede in quel rapporto. Molti gruppi lavorativi vincenti ed affiatati prima sono passati da incomprensioni, ma oggi sono i numeri uno. No, non credo che chiudersi a riccio per proteggere il proprio IO sia la scelta migliore, nella vita serve coraggio, resistenza, determinazione. Se poi, in particolari casi si è anche resilienti…..

Cosa fare, o meglio, farei? Tendere la mano, quando si sbaglia e soprattutto quando si ha ragione. E’ l’unica chiave che conosco per aprire le porte del futuro.

Davide Bosisio

Resilienza, la moda del momento

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